Un derby è sempre un derby

Si, era dai tempi di Hector Cuper che non si vedeva un catenaccio di tali dimensioni, dopo l’ingresso di Chivu per Alvarez ho pensato che la mossa successiva sarebbe stata quella di far entrare Ranocchia per Milito, per fortuna non è andata così.

Dicevo che un derby è sempre un derby e per il tifoso vincerlo è sempre una fonte di gioia impagabile, poi, quando si vince così, mi tornano in mente quegli amici che nei periodi bui della loro squadra, dicevano che pur di vincerlo avrebbero goduto come ricci e provato più soddisfazione con un autorete.

Io, ora, penso a queste persone e dico… avevate ragione e aggiungo, grazie Abate, anche se non è stata un autorete, la tua svirgolata ce la ricorderemo per un bel po’.

Buon brindisi a tutti gli interisti, Sum.


LA SOSTENIBILE PESANTEZZA DELL’ESSERE INTERISTA

Il dado è tratto.

Il banco piange.
Chi ha scommesso sul sogno, non sarà più lo stesso di prima.
Quello appena concluso, calcisticamente parlando, è stato un anno “pesante”, emozionalmente parlando, il più pesante da che io ricordi.

“Non è importante ciò che trovi alla fine di un tragitto, l’importante è ciò che provi mentre percorri quel tragitto.”

Tutto è cominciato nel finale della partita contro la Dinamo Kiev, era il 4 Novembre, era l’inizio della scalata, era l’inizio dei rituali solenni.
Ricordo come fosse ieri la gioia provata al gol di Sneijder e posso affermare che fu proprio da quel momento che cominciai a crederci sul serio.
La partita l’ho vista a casa del mio amico/fratello Thomas e da quel momento in poi, nonostante il 42 pollici HD che ho a casa, abbiamo continuato a vederle insieme a casa sua.
Da allora ogni partita avrebbe previsto:”Cena con due panini a testa, wurstell o salsiccia fresca o hamburgher (alla fine avranno la meglio i wurstell) birra a fiumi e whisky a partita conclusa. Non mancheranno antipasti con olive snocciolate, prosciutto crudo, patatine e simili. Automaticamente dopo aver ascoltato qualche intervista, ci scappavano sempre quelle 4 partite a play, PES2010 ovviamente”
Però, il pezzo forte, quello più importante del nostro rito sarebbe stato questo:

L’avrete riconosciuto in molti, è una scena famosissima di “Ogni maledetta domenica” dove Al Pacino interpreta un coach vecchio stile (molto simile a Mou) e carica a dovere la squadra prima della gara.

Ho copiato il video nel cellulare ed ogni volta alle 20 e 35 lo facevo partire. Ascoltavamo in silenzio tutto il discorso e quando si arrivava al punto in cui Al Pacino domandava:”Allora, che cosa volete fare?” Noi in coro urlavamo:”VINCERE!”
Fu proprio dopo la vittoria con la Dinamo che ebbi l’illuminazione e notai le due differenze fondamentali con le solite “Inter”:
1 – Non perdevamo più il controllo, nemmeno nelle situazioni più sfavorevoli, dove una qualsiasi Inter del passato avrebbe perso la bussola;
2 – La fortuna era dalla nostra parte.
Queste due “nuove” condizioni mi portarono ad essere insolitamente fiducioso e sicuro della nostra forza. Dopo le due vittorie col Chelsea questa “nuova” convinzione si fece sempre più forte e insistente dentro me.
Finalmente avevamo scacciato la paura di perdere, la paura di non farcela, la paura che da un momento all’altro qualcosa sarebbe andato storto e non avremmo coronato il sogno nemmeno questa volta.
No, questa paura non c’era più, svanita.
Col CSKA non ci siamo nemmeno sforzati di preoccuparci, era come se giocassimo con un Siena qualunque e per giunta senza premio vittoria.
Massima attenzione sempre e partita sotto controllo dall’inizio alla fine, sia in casa che in trasferta. Dopo aver passeggiato a Mosca, sarebbe arrivato il momento della verità.
Ora avrebbe avuto ragione Ibra e contro il calcio del 2015 non avremmo avuto nessuna speranza, oppure senza il suo “pesante fardello” saremmo diventati noi il calcio del 2015 ringraziandolo per averci lasciato?
Questo era il quesito che mi avrebbe assillato per tutta la settimana antecedente la sfida. Nemmeno per la finale avrei sentito l’adrenalina scorrere nelle vene come in quei giorni che precedettero Inter – Barcellona.
Dentro di me sapevo che quella sarebbe stata la chiave di tutto, o si vinceva bene in casa, o si andava fuori al 110%.
Nemmeno dopo essere andati sotto per nostra gentile concessione ho tremato, dovevamo vincere e l’avremmo fatto in una maniera che nemmeno nei miei desideri più intimi avrei mai potuto sperare di vivere.
Per la partita di ritorno ero meno teso, dopo l’espulsione di Motta ho sofferto di più, dopo l’uno a zero ancora di più, gli ultimi dieci minuti sono stati pura follia.
Ero in piedi davanti al televisore, sono morto e poi risorto al non-goal di Bojan che ci avrebbe rispedito all’inferno d’Europa, ma non è andata così, la fortuna era con noi e la finale anche.
Dopo la partita col Barcellona sono arrivati la Coppa Italia (con 5 maggio annesso) e lo Scudetto, coi soliti secondi/vincitori morali ad accarezzare il sogno per poi vederlo svanire brutalmente.
Il We dello scudetto coincise con l’inizio delle ferie in cui mi sarebbe aspettato un lavoro ingrato:”Pitturare tutte pareti interne ormai dominate dalla muffa.”

Per fortuna, il fatto di essere costantemente impegnato a lavorare, mi permise di vivere la settimana pre-finale con molta calma e rilassatezza. Non avevo ne la forza e ne il tempo per tenermi aggiornato e fare le mie solite indigestioni di notizie e previsioni dai miei blog preferiti.
Come un lampo, arriva il giorno della finale e per me è già tutto scritto.

Nel cervello una vocina continuava a ripetere:”Milito Milito Milito Milito Milito Milito Milito.” E’ stato un po’ come quando le donne passano di fronte ad una vetrina Coccinelle e sentono la vocina:”Borsetta Borsetta Borsetta Borsetta Borsetta Borsetta, amore compra Borsetta.”

Era il 22, il numero di maglia di Milito, il giorno di nascita di mio figlio che quel giorno avrebbe compiuto 15 mesi, non sarebbe stato un giorno triste, non poteva esserlo, non questa volta.
E’ l’ora, solite facce, soliti rituali, i wurstell che battono la salsiccia e gli hamburgher, saranno loro ad accompagnarci in finale.
Tutto pronto, tutto tace.
Il Bayern inizia la partita facendo melina e un gravissimo errore, quello di sfidarci.
La rete di Milito è sballo totale, l’errore Sneijder mi fa tornare coi piedi per terra.
Fine primo tempo, intervallo dedicato agli esercizi di respirazione, allo stretching ed a preparare il secondo panino.
Intanto le bottiglie (vuote) di birra si moltiplicano inspiegabilmente.

Vin Diesel “alto” fischia, finalmente si riparte e lo facciamo con la stessa fiducia del primo tempo.

I tedeschi continuano tenere palla, si rendono pericolosi in particolar modo con Muller prima e con Robben poi, ma non è la loro serata questa, loro, sono solo le comparse della nostra serata e ci deve pensare nuovamente il numero VENTIDUE – Diego Alberto Il Principe Milito a ricordarglielo con un altra prodezza che inequivocabilmente chiude la partita.

Il sapore diventa sempre più dolce, la tensione inizia a sciogliersi, le labbra si deformano e scoprono i denti in un sorriso da far diventare verde Jim Carrey.

“Vin” chiude la valvola del NOS, parcheggia il bolide a centrocampo e fischia per tre volte la fine della stagione più vincente di sempre della storia nerazzurra.

Siamo Campioni d’Europa, siamo Campioni di tutto.
Al fischio finale mi giro di scatto e corro come un pazzo per il salotto, sul parquet rimangono i segni delle mie scarpe, quelle strisciate nere che sanno tanto di sgommata in derapata.

Io e il mio amico/fratello Thomas ci abbracciamo, battiamo cinque, prima ad una mano poi con tutt’e due, siamo ubriachi… di felicità.
E’ ora di far partire i messaggi (testo più gettonato “e tre”) o di rispondere ai gufi che ti scrivono “complimenti siete i campioni”, ma chi vi crede?
Siamo arrivati allo strameritatissimo whisky, doppio, alla salute nostra e di tutti gli interisti che prima di ogni cosa amano la squadra, l’Internazionale FC e poi tutto il resto.

Alla salute di quelli che partiranno e di quelli che arriveranno.

Alla salute di Josè Mourinho, che in due anni ci ha consegnato 5 trofei (che potrebbero diventare 8 entro la fine del 2010) e la dignità, quella dignità che per troppo, da troppo tempo ci veniva calpestata regolarmente da cani e porci, quella dignità che non eravamo più abituati a vivere perchè per troppo tempo siamo stati quelli simpatici e perdenti. Grazie Josè, ti seguivo con grande ammirazione prima che arrivassi all’Inter e continuerò a seguirti con ammirazione ovunque andrai.

Alla salute di mio figlio Leonardo, che ha 15 mesi e ha già vinto tutto: 2 scudetti, 1 Coppa Italia, un Supercoppa Italiana e un Champion’s League e ha imparato a dire “Inter, rete!” spero tu possa vivere altri momenti come quelli che ho appena vissuto io e raccontarli ai tuoi figli, io te li racconterò.

Alla salute di mia moglie che sopporta da sedici anni, ma mai come in questi ultimi, il mio interismo cronico.

Alla salute di Moratti, finchè ci sarà lui, non avremo bisogno di andare a chiedere soldi al primo russo che passa.

Alla nostra salute amico mio, nella speranza di vivere altri momenti diversi da questi, ma altrettanto unici e irripetibili, perchè quando vinciamo noi è sempre per la Storia.


MENO 2


MENO 1

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BUONGIORNO MADRID, e rido

E rido, rido per: "la squadra aiutata dargli arbitri (cit.)", "senza mentalita' europea (cit.)", "dei soldi e non delle idee (cit.)", "dell'allenatore addetto stampa (cit.)", "la vittima designata (cit.)" ecc… ecc…
E rido, rido per: "poverini, dopo 38 anni fateli gioire un po'", "c'erano tre rigori per il Chelsea", "c'era il rigore su Messi a San Siro", "eravate tutti in difesa", "un italiana senza italiani", "undici stranieri in campo" ecc… ecc..
E rido, rido perchè alla fine l'unico ad avere sempre ragione – o quasi, solo al tempo di Moggi –  è il campo!
E il campo ha decretato che chi ha messo sul banco dei pegni la propria pelle, non ha fatto i conti con chi su quel banco ci ha sputato il proprio sangue fino all'ultima goccia!

E rido…

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…e ringrazio te.